La leggenda del Venerocolo

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Un cacciatore di camosci stava seguendo orme che assicuravano la presenza di un branco. Era già da parecchi giorni che rincorreva gli imprendibili animali, attratto dal desiderio della preda.

L’autunno era molto avanzato, cadevano gocce di pioggia miste a neve. I pastori erano scesi da tempo a valle, il silenzio era l’unica compagnia del cacciatore. La prudenza avrebbe consigliato un rapido ritorno, ma il miraggio di una preda era più forte.

Una mattina, aprendo l’uscio della baita dove passava le notti, l’uomo notò una strana resistenza. Solo spingendo con forza e non senza fatica egli riuscì a spalancare l’uscio. Fuori era tutto bianco, la neve caduta durante la notte l’aveva imprigionato sulla montagna.

Il cacciatore poteva solo sperare in un aiuto dal paese: da solo non sarebbe riuscito ad attraversare il mare bianco che lo divideva dalla sua gente. Aveva comunque parecchie provviste con sé e una grande forza d’animo lo sorreggeva.

Rientrò nella capanna e accese il fuoco. Il giorno passò lentamente. Guardando attraverso lo spiraglio della porta, l’uomo vide i camosci che erano stati spinti dalla neve molto più in basso. Le ombre della sera rapidamente calarono. Riattizzato il fuoco, il cacciatore si stese sul giaciglio e si apprestò a dormire.

Durante la notte arse di febbre. Era malato e solo sulla montagna. La paura cominciò a impadronirsi di lui, recitò preghiere che non diceva da tempo, orazioni che gli ricordavano il paese, la madre, la chiesa: cose lontane, che credeva svanite per sempre.

Ogni tanto delirava e poi si assopiva. In un momento di lucidità vide schiudersi l’uscio lentamente, senza rumore. Con gli occhi sbarrati l’uomo vide entrare una fanciulla. Ella si avvicinò al suo giaciglio e, passandogli una mano sulla fronte, disse. “Sono la figlia del vento e sono venuta a curarti”. L’uomo a quel contatto caldo e rassicurante si addormentò.

Dopo pochi giorni il cacciatore era guarito. Passò anche l’inverno, la figlia del vento continuava ad aiutarlo. Tornò la primavera e con il risveglio della natura la fanciulla gli disse: “È ora che tu ritorni al paese, io devo andarmene”.

Il cacciatore, seduto su una roccia dominante la vallata, pensò a lungo. Guardava la valle e ascoltava il brusio che da essa saliva. Pensava alla grettezza degli uomini che lo avevano abbandonato sulla montagna. Guardava le cime dei monti, i germogli che cominciavano a sbocciare, le erbe che con le loro essenze lo avevano guarito.

Osservava i camosci pensando che si avvicinava l’ora dei parti e che grazie alle loro carni aveva potuto sfamarsi. Ascoltava il sussurro del ruscello dalle cui acque aveva bevuto, pensò al potere vivificante che da esso derivava. La leggera brezza montana scompigliava i suoi capelli, diffondendo nell’immenso spazio azzurro una dolce melodia suonata tra gli steli degli arbusti.

Ad un tratto si voltò a guardare la fanciulla e disse: “Al paese non ho qualcuno che mi aspetta, voglio restare con te, fra questi monti. La figlia del vento lo guardò con dolcezza, gli passò la mano sulla guancia e gli disse: “Voi uomini non potete vivere sulla montagna. Voglio comunque accontentarti: tu resterai sempre qua nella radura più bella del monte e io ti canterò la mia canzone eterna”.

In una bella spianata accanto al ruscello ci sono due massi adagiati su cui sono incisi simboli enigmatici. Dicono sia la dimora perenne del cacciatore e della figlia del vento.

 

 

Il Monte Venerocolo è una delle cime più elevate del Gruppo dell'Adamello, nelle Alpi Orobie, alta 2.590 metri slm. Il Venerocolo è noto anche come monte Tre Confini, dato che i suoi tre versanti delimitano i confini delle province lombarde di Bergamo, Brescia e Sondrio.

 

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Sante Mazziero - DLF Milano
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