A scuola di disegno

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Andavamo a scuola di disegno a Monselice. Tutte le domeniche di buon mattino, in bicicletta, ci radunavamo in piazza a Stanghella, intorno alle ore 7.00. Alcuni arrivavano da Vescovana, altri dai Graizzi, da Pozzonovo, da Stroppare, tutte località nei dintorni, in un raggio di circa 3 km.

Stanghella era il punto di partenza e percorrendo gli 11 km della Strada Statale n° 16, da noi chiamata la Strada Pisana, si raggiungeva la scuola professionale che si trova ancora oggi sul monte la Rocca in prossimità delle rinomate sette Chiesette.

A quel tempo, correvano gli anni dell’immediato dopoguerra, le scuole erano ancora disagiate, alcune avevano subìto grossi danni ed altre addirittura distrutte dalle bombe.

Iniziava quindi una ripresa generale in tutti i settori produttivi e anche le scuole cercavano di ricuperare il tempo che forzatamente avevano perduto. Erano istituiti dei corsi professionali chiamati serali, anche se comprendevano il sabato pomeriggio e la domenica mattina, in modo di dare la possibilità di frequentare anche a coloro che avevano un lavoro oppure un apprendistato.

Nessuno di noi aveva l’incarico di fare l’appello però vedevamo subito se qualcuno non c’era e allora ecco che si chiedeva: “Armando non hai visto Silvestro?” oppure “Toni gheto visto Paoin?” e cosi via.

Si partiva tutti in fila indiana, circa in otto o dieci, e strada facendo il numero aumentava. Da Solesino si aggiungevano Claudio e Beppe, dal Cason ecco Angeo e Nani, quindi altri ne arrivavano, dalle località che si trovavano nella medesima direttrice: puntualmente erano lì ad aspettare il gruppo.

Si può certamente affermare che, se da un lato il nostro sacrificio era notevole, nello stesso tempo si trattava sempre ed allegramente di una festa.

Alcuni del gruppo avevano delle belle biciclette sportive, era già un segno che le famiglie di questi avevano intrapreso un percorso di ricostruzione economica, sempre con grandi sacrifici.

La mia bicicletta era vecchia, ma aveva tutto il necessario per funzionare. Però mancava il copricatena e quindi dovevi stare attento ai pantaloni, giacché d’inverno si portavano quelli lunghi, allora mettevi una molletta che teneva bloccato il risvolto verso l’esterno; la soluzione più giusta l’aveva trovata la mia mamma: mi faceva mettere i calzoni alla zuava che arrivavano appena sotto le ginocchia, si stringevano alle gambe come una manica di camicia e con le calze gli si andava sopra.

Alla mia bicicletta mancava pure il parafango posteriore, erano guai quando capitavano giornate di pioggia e la ruota ti spruzzava dalla sella fino sopra i capelli, dovevi stare attento di fissare bene la mantella altrimenti facevi i fanghi freddi! Con la bicicletta si circolava a lato della strada, riservato appunto ai pedoni e alle rare biciclette che a quel tempo circolavano, non era asfaltato quindi le ruote tiravano su tutto quello che c’era. Oggi vediamo in versione più moderna le piste ciclabili.

Dicevo che la mia bicicletta era dotata di tutto il necessario: aveva il classico borsino degli attrezzi, fissato con i due cinturini negli appositi passanti sotto la parte posteriore della sella, e conteneva una serie di arnesi per il pronto intervento: un cacciavite, una pinza, un tendi-raggio, una chiave combinata che aveva le misure per operare su tutte le viti e bulloni che assemblano una bicicletta, tre utensili formati ad hoc per scalettare il copertone dal cerchio della ruota, un tubetto di mastice (adesivo speciale), un pezzo di camera d’aria fuori uso da cui ricavare le toppe, un pezzo di carta vetrata. Aggiustavamo da soli la ruota bucata: la carta vetrata serviva a rendere ruvide entrambi le superfici su cui si stendeva un velo di mastice e, dopo aver lasciato per un minuto circa ad evaporare, si procedeva all’incollaggio; si teneva tesa la camera d’aria e si poneva la pezza, bene centrata sopra la parte lesa, esercitando con il palmo del pollice una forte pressione; solo dopo la ricomposizione della ruota, al momento della gonfiatura, si vedeva se la riparazione era riuscita.

A quel punto nasceva la necessità di un attrezzo molto importante: la pompa, guai non avere questo prezioso attrezzo, parte integrante della dote di una bicicletta. Il modello di pompa per le biciclette normali è unico ed ha la sua apposita sede nel tubo posteriore del telaio, che dalla sella scende verso i pedali, mentre dal lato della ruota posteriore ci sono due supporti ad uncino che alloggiano con sicurezza la nostra pompa.

Tra i componenti dell’allegra compagnia diretta a Monselice c’era Luciano, lui con una bicicletta ancora più scassata della mia. Abitavamo proprio vicini, quindi partivamo da casa insieme e le raccomandazioni ci arrivavano da entrambe le nostre mamme, che sapevano quanto quella strada fosse pericolosa.

Luciano doveva oliare il pedale destro della sua bicicletta perché, ormai usurato, aveva perso le sfere che fanno da cuscinetto rotante, quindi tra l’asse che si collega con la pedivella e la parte centrale del pedale c’era uno sfregamento tra i metalli. A causa di ciò, fintanto che era lubrificato poteva andare, poi ad un certo punto la lubrificazione si esauriva e l’attrito fra le due parti provocava un fischio: fhiiiii - fhiiiii – fhiiiii! Prontamente la compagnia con il solito slogan: “daghe ogio, daghe ogio!”. Luciano si fermava e lubrificava il pedale innaffiandolo con la pipì, la cosa funzionava per due, tre km e poi la musica riprendeva.

Luciano rimaneva senza riserve e quindi si correva in suo aiuto. Tra l’andata e il ritorno alcuni di noi facevano in tempo almeno una volta a soccorrerlo…

Finalmente il papà di Luciano riuscì a riordinare la bicicletta e sostituire i pedali. A Luciano non pareva vero e si pavoneggiava per com’era diventata bella e leggera la sua bicicletta.

A scuola i corsi erano programmati in cinque anni e alla fine del quinquennio si otteneva un attestato che, a quei tempi, era parificato alle Scuole Professionali, con le quali si poteva benissimo trovare impiego in un Ufficio Tecnico come disegnatore, nell’ambito della propria specializzazione.

All’interno del nostro gruppo si trovavano tutti i mestieri: muratore, falegname, carpentiere, meccanico, tornitore, saldatore… Molti dei miei amici sono diventati dei bravi artigiani, io forse sono l’unico che, invece di avviare un’attività in proprio, ho partecipato al concorso pubblico e sono entrato nella grossa famiglia delle Ferrovie dello Stato.

A causa del mio trasferimento a Milano a seguito dell’assunzione in Ferrovie, non ho completato il 5° anno della scuola professionale quindi non mi fu possibile conseguire l’attestato. A distanza di qualche anno ho ripreso a frequentare la scuola serale presso un Istituto Tecnico in Milano e in tre anni ottenni il diploma parificato di Perito Industriale.

Sono passati tanti anni e di quegli amici ho perso le tracce, l’unico che continuo a sentire e a vedere è Luciano. È una fraterna amicizia.

 

A scuola di disegno, di Sante Mazziero

 

INFORMAZIONI

Sante Mazziero

Associazione DLF Milano

338 8060940
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