Come cambia la vita disse un bel pioppo, guardando un alto cipresso appena tagliato per paura che cadesse. Vicino c'era una scuola, ma non era per questo che avevano paura che cadesse, era per le auto, parcheggiate in sosta vietata sulla strada. Avevano cominciato la mattina presto a tagliarlo, anzi lo avevano affettato dalla cima. Come si fa a Natale con un pandoro o un panettone.
Il pioppo aveva sentito i lamenti del cipresso, ma aveva il problema di tutti gli alberi, non poteva muoversi per difenderlo. Certo aveva rivolto la chioma al cielo per chiedere un miracolo, una grandinata improvvisa, un fulmine, una manifestazione di ecologisti giunti a difendere il cipresso più alto della città. Aveva chiesto al cielo anche di potersi muovere, di usare le sue grosse radici per prendere a calci quei tipi che senza conoscerlo e senza cortesia usavano una grossa sega elettrica, per affondarla come un cucchiaio sulla crema, sul tronco snello dell'incolpevole albero.
Era l’albero che aveva sentito suonare la fisarmonica di Igino, corso in cielo qualche mese fa, e era lo stesso albero che la maestra Cristina aveva indicato ai suoi bambini e lo aveva anche fatto disegnare, prima di voler seguire la strada di Igino, pochi giorni prima di Natale. Già, pensò il pioppo, né su di sé, né sul cipresso erano mai stati posti come insegna d’onore addobbi natalizi, quelle palle luminose, quei fili con le lampadine che si vedevano lontano chilometri. Toccava a abeti e pini quell’onore, salvo poi finire in cassonetti o lasciati lungo quelle strade che si riempivano di immondizie abbandonate, come se davvero si potesse abbandonare l’immondizia per le strade in un mondo dove gli uomini si vantano di essere civili e di amare il loro pianeta. Che è anche il mio, pensò il pioppo mentre vedeva quegli uomini caricare il tronco spezzettato del cipresso, da cui gli aghi non volevano staccarsi, anzi, si vendicavano, ferendo nelle mani e nel viso quei mostri col casco che si erano divertiti, forse, a togliere loro la vita.
Tanti questi pensieri frullavano nella testa del pioppo. E davanti erano le immagini dei bambini che alzavano gli occhi a sfidare, insieme all’altezza del cipresso, di quattro spanne o dieci o cento più alto della scuola, quel cielo in cui alla mattina vedevano talvolta ancora la luna piena, o le nuvole che correvano e di più le scie degli aeroplani e erano quelli militari dicevano i più informati, o quelli del vicino aeroporto, o quelli che portavano in cielo Igino musico e la sua fisarmonica e la maestra Cristina.
Il pioppo si ricordava bene di lei, l’aveva vista crescere, l’aveva vista cominciare a insegnare, l’aveva vista con quella classe in cui solo tre erano italiani, eppure erano bambini felici, e solo l’idea di Don Milani e la follia di tre insegnanti poteva riuscire a far di loro una grande classe, con alunni che andarono al classico!
Oh maestra Cristina, pensò il pioppo, e subito sentì quel valzerino dell’Igino che si impadronì della sua malinconia, gli venne voglia di ballare ma per poco intrecciando radici e rami rischiò proprio di cadere. Se non fosse stato per una bambina che appoggiando la sua fronte al suo tronco gli ricordò quel suo dovere di albero da scuola, che era il partecipare ai giochi dei bambini, non si sarebbe presto ricomposto. E la bambina cominciò a contare, non doveva voltarsi prima del quaranta, regola del nascondino, e il pioppo si accorse di un solito perdonabile imbroglio, quel salto da 19 al 30, che soprattutto i più piccoli amavano fare, per scoprire prima i compagni.
E quale fu la sua sorpresa nel vedere la bambina voltarsi e correre verso la maestra Cristina e abbracciarla, e vedere tutti i suoi compagni e le sue compagne correre verso di loro, e vedere la maestra Cristina accogliere tutti e tutte tra le sue braccia e ridere, ridere, ridere, e niente mancava e c’era anche il cipresso in tutta la sua altezza e la scuola sembrava più piccola e loro tutti più grandi, e nel cielo c’erano tanti palloncini colorati e aquiloni volavano al posto degli aerei e la luna ballava con il sole, e in uno dei palloncini c’era un messaggio e era rivolto proprio a lui, al signor pioppo veniva da ontano e c’era scritto: "Grazie Signor Pioppo per saper sognare e saper regalare sogni" e era firmato da mille bambine e da mille bambini e c’era scritto sotto “Buon Natale” e il pioppo per la prima volta pianse.
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Ugo Brusaporco
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