Verona, lunedì 30 marzo 2015.
Il Cinema Russo saluta e con SOLARIS di Tarkovskij si chiude la sesta edizione di Incontri con il Cinema Russo organizzata dall'Associazione Conoscere Eurasia e diretta da Ugo Brusaporco. L'appuntamento è per lunedì 30 marzo al CTG VERONA Santa Maria in Chiavica nell'omonima via dl centro storico di Verona, alle ore 20.30, ingresso libero.
Incontri con la Cultura Russa: il cinema - 6a edizione. 10 appuntamenti con il cinema russo. Verona, dal 26 gennaio al 30 marzo 2015, ore 20.30. Rassegna promossa da: Conoscere Eurasia, Consolato Onorario della Federazione Russa in Verona, Russkiy Mir Foundation.
Ideatore, curatore rassegna e catalogo: Ugo Brusaporco
Organizzatori: Daniela Bonomi, Iryna Shmatco
Relatori: Ugo Brusaporco, prof. Sergio Pescatori
La sede degli incontri è: Chiesa Santa Maria in Chiavica, Sede CTG, Via Santa Maria in Chiavica, 37121 Verona. I film presentati appartengono alla videoteca di Conoscere Eurasia e alla videofilmoteca del Cineclub Verona
Calendario degli incontri 2015, ore 20.30
Lunedì 26 gennaio
Фауст - Faust
Regia di Aleksandr Sokurov - 2010, durata: 134’
Lunedì 2 febbraio
Мать - La madre
Regia di Vsevolod Pudovkin - 1926, durata: 84’
Lunedì 9 febbraio
Щелкунчик и Крысиный Король - Lo schiaccianoci - in 3D
Regia di Andrej Končalovskij - 2010, durata: 105’
Lunedì 16 febbraio
Груз 200 - Cargo 200
Regia di Aleksej Balabanov - 2007, durata: 85’
Lunedì 23 febbraio
Судьба человека - Il destino di un uomo
Regia di Sergej Bondarčuk - 1959, durata: 103’
da un racconto di Michail Šolochov
Lunedì 2 marzo
Иван Грозный - Ivan il Terribile
Regia di Sergej M. Ejzenštejn - 1944, durata: 99’
Lunedì 9 marzo
Белка и Стрелка. Звездные собаки - Belka e Strelka. Cani Stellari
Regia di Svjatoslav Ušakov e Inna Evlannikova - 2010, durata: 85’
Lunedì 16 marzo
Вор - Il ladro
Regia di Pavel Čukhraj - 1997, durata: 96’
Lunedì 23 marzo
Ближний круг - Il proiezionista
Regia di Andrej Končalovskij - 1991, durata: 131’
Lunedì 30 marzo
Солярис - Solaris
Regia di Andrej Tarkovskij - 1972, durata: 165’
Presentazione di Ugo Brusaporco, curatore artistico
“Amo colui che sogna l’impossibile” scrive Johan Wolfgang Goethe nel suo “Faust” e gli risponde Stanislav Lem: “Noi non vogliamo conquistare l’universo, l’uomo vuole semplicemente estendere i confini della Terra alle frontiere del cosmo” nel suo “Solaris”. Un geniale scrittore e poeta tedesco e un grande scrittore polacco segnano, o meglio, demarcano i confini di questi “Incontri con la Cultura Russa - il cinema” giunti alla loro sesta edizione grazie all’impegno di Conoscere Eurasia e di chi collabora con questa Associazione, che a Verona ha ormai stabilito una tradizione di promozione e comunione culturale tra Italia e Russia. Un tedesco e un polacco che, con i loro scritti, sono serviti a straordinari autori cinematografici russi, o meglio sovietici, come storia e come formazione culturale, a regalare un primato nel cinema alla Grande Russia.
Andrej Tarkovskij ha tradotto in imperiture immagini il dettato di Lem, in un film “Solaris” che annichilisce il futuro letto da Stanley Kubrick in “2001: Odissea nello Spazio”. Ben più arduo era il confronto con Goethe di Aleksandr Sokurov, visto che il “Faust” del tedesco era già stato sublimato al cinema da un capolavoro “Faust - Eine deutsche Volkssage” di un suo connazionale Friedrich Wilhelm Murnau. Eppure il russo che viene da Irkutsk, dalla lontana Siberia, città lontana da Mosca due volte di più di quanto disti Verona dalla capitale russa, riesce a trarre da Goethe non i vestiti, non la morale, ma lo scritto, la sua profondità umana, come Murnau non si era preoccupato fare. Era chiaro, che al di là dei premi guadagnati meritatamente dal “Faust” di Sokurov, la necessità di aprire questi incontri con questo film, si lega al suo valore cinematografico, culturale e politico. Il respiro di Goethe, come quello di Sokurov, è un respiro europeo, che abbatte i confini e le diatribe, che annuncia il bisogno di confronto, di abbeverarsi alla stessa fonte, che reclama il pensiero e aborrisce le armi e le vendette. C’è in Goethe e canta in Sokurov la sapienza dell’uomo che superando se stesso compie l’umanità, c’è il dovere di reclamare la libertà e la fratellanza e l’uguaglianza, c’è il respiro di quell’illuminismo che supera il buio dei dettati delle religioni che oggi ancora affliggono l’umanità. Tra Sokurov e Tarkovskij, altri otto appuntamenti, due con il cinema senza confini di Andrej Končalovskij. Di lui si vedranno “Il proiezionista”, sullo stalinismo, famosa qui è restata la sua definizione della paura nell’epoca stalinista: “Non c’è bisogno di un serial killer per far paura e comunque un serial killer non spiega perché esiste il male dell’umanità”. Un film che mette insieme un cast hollywoodiano comprendente Tom Hulce, Bob Hoskins, Lolita Davidovič, con una storia vera di quella strana epoca.
È un Končalovskij politico anche quello di “The Nutcracker in 3D”, un film certamente non natalizio né debitore del balletto di Čajkovskij, piuttosto una rilettura amaramente antinazista di “Lo Schiaccianoci e il re dei topi” di ETA Hoffman. Anche qui con un cast coi fiocchi: John Turturro, Elle Fanning (“Babel”, “Somewhere”, “Maleficent”), Frances de la Tour (“Harry Potter”, “Hugo Cabret”) e altri, sicuramente non un film per bambini. I due film rendono la complessità autoriale di Končalovskij, uno dei più importanti intellettuali russi, capace di agire a contatto con le più diverse culture portando con sé, profonda, la sua anima russa.
Il 23 febbraio ricorderemo il giorno dei difensori della Patria, la grande festa che la Russia dedica ai combattenti della II guerra mondiale, con “Sud’ba čeloveka” (Il destino di un uomo, 1959) di Sergej Bondarčuk, un film scritto dal Premio Nobel Michail Šolochov. Non potevano mancare due pagine dedicate alla grande storia del cinema sovietico, e si sono scelte “Mat’” (La madre) per rileggere, in tempi di crisi come questi che stiamo vivendo, pagine indimenticabili di Maksim Gor’kij, portate mirabilmente sullo schermo da una leggenda del cinema qual è Vsevolod Pudovkin, e il film regalerà al pubblico l’immensa bellezza della recita di Vera Baranovskaja. Ancora una volta qui si avrà l’occasione di ascoltare dal vivo l’accompagnamento di quel fine musicista che è il fisarmonicista Igino Maggiotto, oggi uno dei maggiori musicisti per il cinema muto.
Non potevano passare sotto silenzio i settant’anni di “Ivan Groznyj” (Ivan il Terribile) di Sergej M. Ejzenštejn, non solo per la bellezza formale e emozionale del film, non solo per la fulgente fotografia di Eduard Tissé, non per l’interpretazione indimenticabile di Nicolaj Čerkasov, ma perché ogni tanto bisogna ricordare che cos’è il Cinema e perché un autore, nella Russia invasa dai nazisti, trovi necessario fare un film per cantare la vittoria del suo popolo.
Emozionaranno, per motivi diversi, due film di forte impatto narrativo e visivo, come “Gruz 200” (Cargo 200) di Aleksej Balabanov, che tutti i critici paragonano all’horror “Non aprite quella porta” senza dimenticare il suo forte impatto politico nel descrivere la Russia di oggi, e “Vor” (Il ladro) di Pavel Čuchraj. Questo è un film che offre un ulteriore punto di riflessione sulla difficoltà del cinema russo di accedere al pubblico italiano. Il fatto è dato dalla marginalità del mercato italiano, che porta a trascurare la lingua italiana fra le tante che vengono proposte. “Vor”, accolto con successo a Venezia, non ha avuto la distribuzione che meritava ed è caduto, colpevolmente, nell’oblio, come troppi film russi e non solo. Con l’aggiunta che il film aveva ricevuto anche il premio UNICEF per le sue qualità, il che avrebbe dovuto aiutare una sua distribuzione, ma, ancora, in Italia non esiste una cultura cinematografica per i più giovani e il cinema russo potrebbe essere di aiuto.
Ecco quindi il senso di questa nostra manifestazione, tener viva la cultura russa del cinema. Tra i film non abbiamo trascurato l’animazione e ecco allora “Belka i Strelka. Zvezdnye sobaki” (Cani Stellari), di Svjatoslav Ušakov e Inna Evlannikova. Un film che ci riporta ai tempi della corsa spaziale, Belka e Strelka erano due cagnoline che divennero fondamentali nella storia dell’astronautica russa che aveva appena patito la morte di Laika. Si ritroverà lo spirito di quel tempo strano, in cui gli uomini cercavano di superare i loro limiti conquistando lo spazio.
E così torniamo da Goethe, con cui avevamo cominciato per dire di questa manifestazione che, giunta al sesto anno cerca nuovi confini in quella che si chiamava, e vorremmo ancora richiamarla, Settima Arte: “Amo colui che sogna l’impossibile”.
Lunedì 26 gennaio 2015, ore 20.30, Inaugurazione:
Фауст - Faust
di Aleksandr Sokurov - anno: 2010, durata: 134’
- soggetto: Jurij Arabov da Johann Wolfgang von Goethe
- sceneggiatura: Aleksandr Sokurov e Marina Koroneva
- fotografia: Bruno Delbonnel
- montaggio: Joerg Hauschild
- musica: Andrej Sigle
- attori: Johannes Zeiler, Anton Adasinsky, Isolda Dychauk, Georg Friedrich
Ci sono giornate, nel mondo dei festival, in cui tutti si chiedono perché vengono proposti tanti film, quando ne basta uno per riempire la giornata, regalando il senso dell’andare al cinema, dell’essere “spettatore”, che non è condizione diversa dall’essere “lettore”, anche perché il cinema, quello vero, richiede al suo pubblico più che attenzione, partecipazione. E una di queste giornate la vivemmo alla Mostra del Cinema di Venezia, nel 2011, proprio grazie a un film carico di emozionante cultura, qual è “Faust” di Aleksandr Sokurov: era giustamente l’opera più attesa della manifestazione, quella che richiamava per il suo essere, non perché portava un divo sul tappeto rosso. Oggi Sokurov è il cinema. È la pietra di confronto necessaria per misurare lo stato del cinema mondiale. Ogni sua immagine, e tante ne occorrono per fare un film, ogni sua immagine è poesia, pura poesia, non un quadro, non... Poesia, solo. Si resta a bocca aperta di fronte al suo linguaggio cinematografico puro, ci si riempie di gioia sorseggiando la composizione di ogni inquadratura, l’uso sapiente delle lenti, la sagace guida della recita, che non è sorretta dalla pur magnificente qualità degli attori, ma accompagnata da questi, con un pudore sacrale nella misura del gesto e della parola. Sokurov affronta il capolavoro di Goethe, con un rispetto totale, che gli vieta di farne una rappresentazione cinematografica, al testo del vate tedesco Sokurov riserva l’intelligenza di una lettura che evita il banale confronto con le pagine, che diventano pura, intatta, linfa del suo dire. Ecco così che il Faust del regista russo, affidato alla memorabile recita di Johannes Zeiler, rinuncia al suo statico stare nelle righe, per affermarsi portatore di un futuro da perseguire, di fronte alla ignavia di un mondo che si accontenta. Non è certo simpatico questo Faust, Sokurov non è Goethe, è un uomo del nostro tempo, non gli serve il prologo del poeta, la disfida tra Dio e Mefistofele, non gli serve neppure la seconda parte del Faust, e non ritiene il personaggio pio; lo scopriamo subito mentre viviseziona un cadavere, lo seguiamo mentre va a chiedere da mangiare alla casa di suo padre, un ciarlatano che al contrario di lui promette false guarigioni guadagnandosi da vivere. Lo vediamo pronto a vendere un magico anello al monte dei pegni, ma il vecchio padrone, che è un diavolo, mira a qualcosa d’altro, alla sua anima, ma sa che deve prima infangarla ed ecco il fortuito omicidio di Valentino, l’inutile fratello di Margherita, la giovane che il diavolo vuol fare entrare nel suo cuore. Il terzetto è stupendo, la lussuria di Faust, l’innocenza di lei, la malizia del diavolo. Lei comprende il gioco, lo accetta come sfida, pensa che basti la forza della sua giovinezza. Gli affari del banco di pegni vanno male, il diavolo e Faust scappano e tra i geyser islandesi Faust pensa che quell’energia si può riprodurre, il diavolo lo deride, lui lo uccide. Neppure il diavolo può fermare il tempo, Faust ci trascina verso la libertà del progresso. Si resta sbigottiti di fronte a tanta potenza e bellezza, e non resta che applaudire e pensare a quanto somiglia il destino di questo Faust al nostro.
Ugo Brusaporco
Lunedì 2 febbraio 2015, ore 20.30
Мать - La madre
di Vsevolod Pudovkin - anno: 1926, durata: 84’
- produzione: Unione Sovietica
- soggetto: l’omonimo romanzo di Maksim Gor’kij
- sceneggiatura: Nathan Zarchi
- fotografia: Anatolij Golovnja
- montaggio: Vsevolod Pudovkin
- attori: Vera Baranovskaja, Nikolaj Batalov, Aleksandr Čistjakov, Anna Zemtsova
- Musica dal vivo del fisarmonicista Igino Maggiotto
Del romanzo di Gor’kij si rispetta la psicologia dei personaggi ma si semplifica l’azione, che si svolge a Pietroburgo durante i moti insurrezionali del 1905 (Mat’ è uno dei film approvati dal Partito Comunista nel 1925, per celebrare quegli avvenimenti). Nathan Zarkhi ricorre a testimonianze dell’epoca (come ha fatto Ejzenštejn per Bronenosetz Potëmkin) e costruisce una storia su tre protagonisti (il padre, un operaio distrutto dall’alcool, la madre e il figlio, che aderisce al movimento rivoluzionario). Altrettanto complessa di quella di Ejzenštejn, ma di segno opposto, è la concezione cinematografica del trentaduenne, quasi esordiente regista di Mat’ (7 rulli, 1800 metri). Vsevolod Ilarionovič Pudovkin (Pezna, 16 febbraio 1893 - Mosca, 1 luglio 1953) era stato allievo di Lev Kulešov e, dopo varie esperienze come attore e scenografo, aveva diretto una breve commedia satirica sul gioco degli scacchi (Šachmatnaja gorjačka) e un film scientifico (Mechanika golovnovo mozga: la meccanica del cervello).
Rifiutando gli esperimenti dell’avanguardia, impegnata nella contestazione dell’intreccio narrativo, considerato un sopravvivere borghese, si ispira alla lezione del “realismo” tolstojano (l’anno successivo osserverà: “Tolstoj è per me l’unico scrittore che si identifichi con realtà. In ciò che ha scritto sento una esistenza dipendente, con tutte le sue forme, i suoi colori i suoi suoni”) e compone una storia che ha caratteristiche del romanzo, inteso come sviluppo cronologicamente coerente dell’azione di alcuni personaggi di forte rilievo psicologico.
A differenza di Ejzenštejn, non affida allo spettatore la “presa di coscienza” ma ne segue il cammino nel comportamento dei personaggi, presentati non come tipi ma come figure esemplari che vivono una vicenda esemplare. Su di essi - elementi privilegiati della costruzione narrativa - impernia un serrato discorso cinematografico: ogni “figura ” del linguaggio (campi, angolazioni, illuminazione, segni scenografici) è al servizio della psicologia e degli eventi che la determinano o ne sono determinati. A tutto sovrappone un’acuta sensibilità per gli aspetti più evocativi della natura: notti, albe, alberi, nuvole, acqua, ghiaccio. Ogni azione dei personaggi è immersa in un “paesaggio” continuamente mutevole, che partecipa, arricchendolo di significati, allo sviluppo stesso della storia. E in ciò si riflette una intera tradizione figurativa, che non è tanto quella cui Pudovkin dice di essersi ispirato nella composizione di alcune inquadrature (Velázquez, Van Gogh, Degas, Rouault, Picasso, come testimonia J. Leyda) quanto quella dei grandi paesaggisti e ritrattisti russi di fine Ottocento come Surikov o Il’ja Repin o Isaac Levitan.
“Nel film” chiarì il regista in una pagina autobiografica “l’atmosfera è una grande forza poetica. Del resto, proprio la percezione del nesso organico tra la vita interiore dell’uomo e il mondo che l’attornia conferisce la necessaria profondità alla generalizzazione poetica, da cui l’arte non può prescindere.” Anche per questo, Mat’ - uscito a Mosca nei primi giorni dell’ottobre 1926 - fu uno dei grandi successi del cinema sovietico, in patria e soprattutto all’estero, dove fu accolto con entusiasmo e stupore: restava nel solco della grande civiltà russa e la riproponeva intatta, con uno spirito nuovo.
Fernaldo Di Giammatteo
Lunedì 2 febbraio 2015, ore 20.30
Щелкунчик и Крысиный Король - Lo schiaccianoci
di Andrej Končalovskij - anno: 2010, durata: 105’
- produzione: UK, Ungheria
- sceneggiatura: Andrej Končalovskij, Chris Solimine
- fotografia: Mike Southon
- montaggio: Mathieu Bélanger, Andrew Glen
- musica: Eduard Artemiev
- attori: Elle Fanning, Nathan Lane, John Turturro, Frances de la Tour, Richard E. Grant, Yulija Visotskaja, Aaron Michael Drozin.
Per la rassegna “Incontri con la Cultura Russa: il Cinema”, organizzata dall’associazione Conoscere Eurasia, lunedì alle ore 20.30 nella sala del CTG Verona, a Santa Maria in Chiavica, sarà presentato il film “Lo schiaccianoci” (2010) di Andrej Končalovskij.
Un film che conta tra i suoi protagonisti Elle Fanning, Nathan Lane e John Turturro. Un film che Andrej Končalovskij ha pensato per anni senza riuscire a realizzarlo, fino a che ha trovato i fondi fuori dalla Russia, in Gran Bretagna e Ungheria.
La favola conosciuta nel mondo attraverso la musica di Čajkovskij, viene qui portata alla sua origine narrativa, quella della storia scritta da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann “Nußknacker und Mausekönig” (Lo schiaccianoci e il re dei topi) e trasportata dal 1816 alla Vienna che comincia un altra sua storia nel 1920, con Freud e la psicanalisi e i nazisti pronti a avvelenarne l’aria.
Non avendo come riferimento il balletto, visivamente il regista ritrova le atmosfere di “Maus” di Art Spiegelman per un viaggio visionario in un mondo da favola che non nasconde incubi. Un film che non ebbe il meritato successo: proprio per l’indebita appropriazione della storia da parte del balletto, gli spettatori si aspettavano un film zuccheroso e si trovarono di fronte quello che proprio la musica aveva travisato. Ecco quindi l’occasione per rivederlo.
Presentano il film il professore universitario e russologo Sergio Pescatori, con lui Michael Benson. L’ingresso è libero.
Lunedì 16 febbraio 2015, ore 20.30
Груз 200 - Cargo 200
di Aleksej Balabanov - anno 2007, durata: 85’
- produzione: Russia
- sceneggiatura: Aleksej Balabanov da una storia vera
- fotografia: Aleksandr Simonov
- montaggio: Tatjana Kuzmičyova
- attori: Aleksej Polujan, Agnija Kuznetsova, Leonid Gromov, Aleksej Serebrjakov, Leonid Bičevin, Natal’ja Akimova, Jurij Stepanov, Michail Skrjabin
“Cargo 200” è il nome dato alle casse di zinco trasportate da grandi cargo aerei in Russia e questo di Alexey Balabanov è il primo film che ne parla, durissimo film sulla situazione russa, macabra parata di un mondo frantumato, vietato a chi ha il cuore debole, qualcuno lo ha definito il nuovo "Non aprire quella porta". Un film forte, per i cuori forti, ambientato nella Russia che si trasforma, è il 1984 e questi aerei partono in continuazione dall’Afghanistan, riconducono in patria le salme dei soldati sacrificati in una guerra che poi altri conosceranno. Il titolo deriva dalla frase in codice riguardante i soldati morti spediti a casa. E' un film di denuncia, in cui il regista rappresenta con un linguaggio più che crudo, dagli accenti forti, la violenza, la brutalità degli uomini sugli uomini. Di sicuro siamo davanti a un film non casuale. Si parla della Città del Sole di Tommaso Campanella ed è il confronto con l’utopia perduta che pesa in questo autunno dal color del sangue che il film amaramente dipinge.
Premiato a Rotterdam e al Festival di Gijón, il film è una delle opere più importanti di questo regista precocemente morto per un attacco di cuore nel maggio del 2013.
Lunedì 23 febbraio 2015, ore 20.30
Судьба человека - Il destino di un uomo
di Sergej Bondarčuk, da un racconto di Michail Šolochov - anno: 1959, durata: 103’
- produzione: Unione Sovietica
- sceneggiatura: Jurij Lukin, Fyodor Šakmagonov
- fotografia: Vladimir Monachov
- montaggio: Tatiana Likačeva
- musica: Veniamin Basner
- attori: Sergej Bondarčuk, Zinaida Kirijenko, Pavel Boriskin, Pavel Volkov
Andrej Sokolov, operaio di Voronež, è un uomo comune. È felicemente sposato, ha un figlio ed è soddisfatto dei successi scolastici del suo bambino. Con il passare del tempo, la coppia avrà altri figli. Durante la guerra, Andrej viene richiamato sotto le armi. Fatto prigioniero, subisce le angherie dei nazisti. Riesce, però, a scappare, e torna nella sua città, dove trova la sua casa distrutta e apprende la notizia della morte della moglie e di tutti i figli. Il maggiore, l’unico sopravvissuto, é soldato al fronte. Il giorno della vittoria, Andrej apprende che anche il figlio superstite é morto. L’uomo continua a vivere, mettendo a frutto le sue doti di coraggio e di spirito di sacrificio.
Riuscirà alla fine a superare la solitudine e il dolore, adottando un bambino rimasto orfano e solo come lui. Opera a metà tra il film di guerra e la commedia sociale, ispirato, per quanto riguarda il tema, al clima del “disgelo” (raccontando la storia di un prigioniero di guerra, ignora il pregiudizio staliniano che emarginava i combattenti che dalla prigionia erano tornati vivi). Gran premio al Festival di Mosca del 1959, il film induce ai toni patetici, secondo un gusto tipico dell’attore Bondarčuk qui alla sua prima prova registica (più tardi alla vena melanconica e struggente sovrapporrà un’enfasi patriottica che appesantirà la resa stilistica). Frutto di evidente sincerità e di onestà, profonda partecipazione ai drammi della guerra, l’opera colpì e piacque non solo “Per il linguaggio così cinematografico (intere sequenze senza dialogo o dove le battute, rare, non sono essenziali per la comprensione del racconto)” ma anche per “la forza poetica e non soltanto didascalica, del contenuto”, che fece di questa riduzione da un romanzo di Šolochov “un film vivo, autonomo rispetto alla fonte” (C. Terzi).
Maurizio Negri
“Un operaio di Voronež (S. Bondarčuk), mobilitato, vien fatto prigioniero e maltrattato dai nazisti. Riesce a fuggire, ma viene a sapere che sua moglie (Zinaida Kirienko) e suo figlio sono stati uccisi: torna tuttavia al paese e adotta un bambino. Il film ebbe l’audacia di fare un eroe d’un prigioniero di guerra (in genere considerato con sospetto nell’epoca staliniana). Sequenze notevoli: l’arrivo al campo d’internamento, l’evasione, il ritorno in Ucraina d’un uomo affranto dal destino che riesce a ritrovare motivi di speranza”.
Georges Sadoul
Lunedì 2 marzo 2015, ore 20.30
Иван Грозный - Ivan il Terribile
di Sergej M. Ejzenštejn - anno: 1944, durata: 99’
- produzione: Unione Sovietica
- soggetto e sceneggiatura: Sergej M. Ejzenštejn
- fotografia: Andrej Moskvin, Eduard Tissè
- montaggio: Esfir Tobak
- musica: Sergej Prokofiev
- attori: Nicolaj Čerkasov, Ljudmila Tselikovskaja, Serafina Birman, Andrej Abrikosov
A Ivan Groznyj è la prima parte del dittico che Ejzenštejn preparò all’inizio del 1941. Quando tutto era pronto per le riprese, l’Unione Sovietica fu invasa (in giugno) dalle armate tedesche. La Mosfilm si trasferí nel Kazakistan, ad Alma Ata, dove il film entrò in lavorazione nel febbraio del 1943. Un anno e otto mesi dopo (ottobre 1944), l’intera opera poteva considerarsi pressoché compiuta.
Nell’inverno Ejzenštejn girò ancora alcune sequenze (fra cui una a colori) che, nei suoi intendimenti, sarebbero in parte servite a spezzare in due la seconda parte, in modo da comporre una trilogia sull’opera di Ivan Vasil’evič (1533-’84), colui che per primo, nella storia della Russia, assunse titolo (Tzar) e poteri cesarei. Ma le cose andarono diversamente. La prima parte fu montata rapidamente e presentata (circa un’ora e tre quarti di proiezione) il 30 dicembre del 1944. Il 1945 trascorse invece nel montaggio della seconda parte, mentre si attendeva una decisione per l’eventuale terza parte. Nel febbraio del 1946, terminato il lavoro, Ejzenštejn fu colpito da un attacco cardiaco. Sul film, intanto, si addensavano sospetti e critiche, che sarebbero culminati, il 4 settembre, in una risoluzione di condanna emessa dal Comitato Centrale del Partito. Se ne vietò la circolazione. Solo dodici anni dopo (agosto 1958) il divieto fu tolto e la seconda parte di Groznyj (che in Italia avrebbe assunto il titolo La congiura dei boiardi) ebbe pubblica diffusione. Il regista era morto da dieci anni.
Come Aleksandr Nevskij, Ivan Groznyj nasceva nell’ottica del recupero della tradizione russa e della necessità dell’unione di tutte le forze contro il nemico. Ejzenštein si impegnò con una passione e uno scrupolo, se possibile, ancora maggiori. Ristabilire un contatto con la tradizione fu da lui sentito come un obbligo verso la sua stessa cultura. E fu nuovamente alla cultura figurativa che soprattutto si rivolse. Ricordando la fatica sostenuta nel piegare la materia (e gli attori) alla sua idea del Rinascimento russo, accennò, curiosamente, all’ispirazione che gli era venuta da El Greco e della pittura giapponese, ma in effetti i modelli erano a lui più vicini. Basterà citare due quadri di Viktor Vasnetzov (1848-1926), il primo come modello diretto, il secondo come stimolo intellettuale, legato alle polemiche esplose contro la “dissacrazione” del patrimonio culturale della nazione russa, quando ancor l’ideologia dell’internazionalismo proletario e gli sperimentalismi dell’avanguardia non erano stati eliminati dalla scena sovietica. Nel primo una grande composizione verticale di acri, campeggia la figura dello tzar Ivan Vasil’evič, inquadrata dal basso, la testa lievemente inclinata, lo sguardo sospettoso rivolto di sbieco a chi osserva, la barba lunga e affilata. È il Čerkasov del film. Nel secondo quadro, enorme tela che Vasnetzov dipinse fra il 1881 e il 1898, dominano, avanzando imponenti a cavallo, quei “Bogatiri”, figli del popolo, che la leggenda aveva innalzato al ruolo mitico di eroi difensori della terra natale (e che un’opera del 1936 aveva messo alla berlina, provocando la clamorosa reazione del vecchio poeta bolscevico Demian Bednyj: un caso celebre negli annali letterali sovietici).
Ivan doveva inserirsi nella schiera di questi eroi. Senza, però, tradire la storia. “Non nascondere nulla, non sorvolare su nulla, non togliere nulla, delle sanguinose passioni che agitano quella formidabile, impressionante e splendida immagine romantica, che noi abbiamo voluto rievocare intera di fronte agli occhi del mondo.” Il film si apre sulla cerimonia in cui Ivan è incoronato tzar.
Sicuro di sé, il giovane sostiene lo sguardo dei boiari. È contro di loro che dovrà combattere, per ridurre un potere che, non solo si oppone al suo, ma che mette a repentaglio l’integrità della patria russa, sottoposta alle scorrerie dei tartari in Oriente e alle invasioni svedesi e lituane a nord, polacche a Occidente. Il fulgore della cerimonia, la ritualità sfarzosa che il regista sottolinea con la lentezza dei gesti e l’imponenza dell’apparato scenografico, offrono immediatamente la chiave figurativa (e, per estensione, ideolologica) del film. La cupa magnificenza della storia segnerà la vicenda di Ivan, e la giustificherà: tutto ciò che contribuisce alla grandezza della Russia va accolto con venerazione. Il popolo è con Ivan, contro i boiari: delle loro angherie di padroni troppo soffre e ne vuol testimoniare allo tzar.
Fernaldo Di Giammatteo
Lunedì 9 marzo 2015, ore 20.30
Белка и Стрелка. Звездные собаки - Belka e Strelka. Cani Stellari
di Svjatoslav Ušakov e Inna Evlannikova - anno: 2010, durata: 85’
- produzione: Russia
- soggetto: John Chua
- sceneggiatura: Aleksandr Talal
- montaggio: Vincent Devo
- musica: Ivan Urjupin
- attori: Elena Jakovleva, Anna Bolšova, Evgenij Mironov, Sergej Garmaš
Il film è dedicato a Belka e Strelka, due bastardini, i primi animali sopravvissuti a un viaggio spaziale. Realizzato a Mosca con quattro milioni di euro, il film è "una favola basata su eventi reali," come ha detto il suo co-regista, Svyatoslav Ushakov.
La storia di Belka e Strelka, i cui nomi significano Scoiattolo e Freccia, accadde nel 1960, è fu come un sollievo per il popolo sovietico dopo la tragedia di Laika, il primo cane in orbita. Laika morì nel 1957 per colpa del surriscaldamento, poche ore dopo il decollo nel suo piccolo mezzo, ma, in ogni caso, il suo biglietto per lo spazio era rigorosamente a senso unico. Belka e Strelka, entrambe femmine, ebbero celebrità istantanea al loro arrivo il 20 agosto del 1960. I loro volti sono stati utilizzati per decorare articoli per la casa e anche scatole di fiammiferi. Il primo uomo nello spazio, Yuri Gagarin, in seguito a questo scherzò: "Non sono sicuro se io sono stato il primo uomo o l'ultimo cane a andare nello spazio".
Lunedì 16 marzo 2015, ore 20.30
Вор - Il ladro
di Pavel Čukhraj - anno: 1997, durata: 96’
- produzione: Russia
- sceneggiatura: Pavel Čukhraj
- fotografia: Vladimir Klimov
- montaggio: Marina Dobrjanskaja e Natalia Kučerenko
- musica: Vladimir Daškevich
- attori: Vladimir Maškov, Ekaterina Rednikova, Miša Filipčuk
"Vor" (Il ladro) è un film di Pavel Čukhraj, presentato in concorso nel 1997 a Venezia, dove ottenne la Medaglia d’Oro della Presidenza del Senato e il Premio Unicef. Figlio di un grande regista, Grigorij Čukhraj (1921-2001) autore di film di impatto internazionale come "Il Quarantunesimo" (1956) e "Ballata del soldato" (1959), Pavel Čukhraj (nato nel 1946) lega il suo nome proprio a questo "Il ladro", in cui qualcuno ha voluto vedere nel protagonista maschile, il ladro del titolo, adombrata la figura di Stalin.
Il film ci porta nell'Unione Sovietica del 1952 per incontrare Katya (Yekaterina Rednikova, che per questa interpretazione fu chiamata "La Liv Ullman russa”) che pochi anni prima, nel 1947, aveva partorito da sola, per strada, il piccolo Sanya (Misha Philipchuk, che fece esclamare a un noto critico italiano: "Ma dove li trovano, i russi, bambini così?"). Sei anni dopo è diventata la compagna di Tolyan (Vladimir Mashkov). Questi si era inizialmente presentato come in uniforme da ufficiale, con un ritratto di Stalin tatuato sul petto, ma alla fine si rivelerà un ladro, nulla di Tolyan è ciò che sembra. Lo sguardo del bambino segue i rapporti della donna con Tolyan, per lui quell'uomo è insieme fascino e paura, ruvidezza e tenerezza è il papà che gli manca, un papà da cui ottiene anche le prime lezioni di violenze maschili, da lui impara la dura legge della strada, mentre la madre trova nell'uomo l'orrore da cui è incapace di staccarsi.
Lunedì 30 marzo 2015, ore 20.30
Soliaris - Solaris
di Andrej Tarkovskij - anno: 1972, durata: 165’
- soggetto: dal romanzo omonimo di Stanilaw Lem
- sceneggiatura: Friederich Gorenstein
- fotografia: Vadim Yusov
- montaggio: Ljudmila Feyginova, Andrej Tarkovskij
- musica: Edward Artem’ev, Johann Sebastian Bach (Corale in fa minore)
- attori: Natalja Bondartschuk, Donatas Banionis, Nikolai Grinko, Jurij Jarvet, Anatoli Solonizyn, Wladislaw Dworshezki, Sos Sarkisjan, Olga Barnet, Tamara Ogorodnikova , Yulian Semyonov.
Come tutti i personaggi di Tarkovskij, Chris ama la terra: i boschi fermi nella luce diffusa del giorno, le piante che scivolano e affondano lentamente sulle sponde di uno stagno, la pioggia improvvisa che flagella uomini e cose, le alghe sottili contese dallo scorrere del fiume. E' questo il preludio, non elegiaco, di Solaris: l'approccio è lento, contemplativo, ma lo sguardo fermo, appena incrinato dalla malinconia di chi si appresta a separarsi da un paesaggio noto, ma ritrovato, nell'atto di lasciarlo, nella sua corporea e pur sfuggente evidenza.
Se questa è una componente del personaggio, l'altra è la tensione della ricerca, l'ansia di sapere e di capire: "si tratta di stabilire i limiti della conoscenza", dice Chris al padre che avanza dubbi sul senso dell'impresa. Ma nell'atto di svelarsi, il mistero terribile e pur semplicissimo di Solaris riporta Chris alla dimensione esistenziale e terrestre da cui egli presumeva lo separassero ormai milioni di anni luce: dall`oceano" cosmico tornano, in forma di ambigue materializzazioni, ricordi, incubi, memorie, passioni non consumate che la coscienza respinge e censura. Chris è ancora fortunato: la sua ospite è Chari, i visitatori dell'orgoglioso e razionale Sartorius sono mostri dimidiati e repellenti. Chari è la dimensione del passato, della memoria, dell'amore rifiutato per viltà e frustrazione (l'infinita stanchezza dell'uomo-bambino consolato dalla madre, con la sua bellezza misteriosa e ferma nel tempo: il bianco e nero dell'immagine, soffusa oscurità degli ambienti rimandano a un grembo materno che accoglie ma "esclude"). Nello spazio cosmico, nel confronto estremo con se stesso, senza "mediazioni" di sorta, Chris vive nel presente, ma enormemente astratto e dilatato, una passione retrospettiva e senza futuro. L`annichilatore" di Sartorius è già in grado di respingere gli "ospiti" nel silenzio da cui sono venuti e di imporre alla recalcitrante materia un ordine "umano", anche se la circostanza che venga trasmesso l'encefalogramma di Chris, l'unico che abbia saputo stabilire un rapporto, sembra lasciare aperta la possibilità di un'intesa.
Anche Solaris è dunque una severa, fluente reincarnazione metaforica dell' “umanesimo” dolente e polemico di Tarkovskij: il conflitto tra esistenza e cultura, inconscio e razionalità tecnologica, "mistero" e "scienza", si snoda con ritmo pacato e lentissimo, apparentemente uniforme e monotono, in realtà ricchissimo di tensioni interne (si vedano le sequenze rapide e frammentarie di sogni-ricordi) e di "impudenti" aperture liriche (il leggero movimento dei corpi di Chris e di Chari sospesi nel vuoto, un momento di serenità perfetta e struggente). Che questo lungo poema lirico-figurativo e la sua dolente conclusione (con il ritorno del protagonista alla casa del padre, lo stringersi muto alle ginocchia del vecchio e la camera che si allontana isolando, in quell'infima lacuna del mondo, le due figure) abbiamo poi il fiato corto, potrà anche essere vero. Così come potrà sconcertare l'assenza totale (che non è certo "omissione" di poco conto) della mediazione storica. E invece, sappiamo, i nodi vengono sempre al pettine.
Nella metafora di Tarkovskij, l' “annichilatone” di Sartorius evoca atroci mutilazioni del passato (e del presente), più che non ipotesi avveniristiche. E Chari, che vuole vivere la propria possibilità strozzata ieri dagli uomini oggi dalle macchine, suggerisce riferimenti inquietanti, drammi non scontati. La "storia", respinta dalla struttura e dalle modalità apparenti del racconto, ne rioccupa le cavità profonde, ne modella le pieghe e orienta i procedimenti. Anche se Tarkovskij sembra tentato, mentre disegna la sua vasta e immobile metafora, da un'altra, e più arrischiata, lusinga, da una sorta di misticismo animistico della materia, la misteriosa immortalità dell'energia sprigionata da uomini e cose, e dal loro declinare e morire: l'immagine, ricorrente come un segnale indicatore, del fuoco di sterpi bruciati dal bambino, al quale si accompagna la visione del misterioso, lavico, oceano di Solaris, un mare di righe concentriche che si allargano e restringono. Ma il volto di Chris, dolorosamente intento a scrutare quei remoti segnali, è uno specchio che riflette soltanto dubbi e interrogativi. E' una grande stanchezza interna che si comunica a tutte le cose e figure che attraversano o sfiorano la sua esistenza.
Adelio Ferrero, Cinema e Cinema n. 2 gennaio - marzo 1975
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