Verona, lunedì 25 marzo 2013, ore 20.30.
EVENTO SPECIALE FILM CHIUSURA: ANDREJ RUBLJOV di Andrej Tarkovskij, URSS 1969.
Questo film fu anzitutto un “caso” politico-culturale. Realizzato in un triennio (1965-67), fu invitato, prima ancora della presentazione in Unione Sovietica, al festival di Cannes del 1967. Vi giunse soltanto nel 1969: le “resistenze”, mai ufficialmente chiarite, del Goskino ne impedirono più volte l’esportazione.
A Cannes, ottenne il premio della FIPRESCI. Tre anni dopo, gennaio 1972, fu proiettato a Mosca. Interpretare le “resistenze” burocratiche degli organi amministrativi del cinema sovietico è impresa inutile. Va solo detto che anche un altro film di Tarkovskij (Zerkalo, Lo specchio, t.l., 1974, che il regista girò dopo il fantascientifico Solaris, 1972) incappò nella censura ed ebbe in patria una circolazione ridotta (e nessuna diffusione all’estero). Andrej Rubljov è un florilegio di episodi legati alla vita e ai tempi del pittore (1370-1430, approsimativamente).
Con questo film complesso e maestoso (in cui sono visibili le tracce dell’insegnamento figurativo dell’ultimo Ejzenštejn e, soprattutto, delle grandi pagine liriche dedicate da Dovženko all’anima contadina del suo paese), Andrej Tarkovskij (Zavroze, 4 aprile 1932) è andato assai oltre la gracile esperienza del patetico film di guerra (Ivanovo detstvo, L’infanzia di Ivan, 1962) con cui esordì. Ha voluto parlare “dell’impossibilità di creare trascurando i desideri e le speranze del popolo; dell’aspirazione dell’artista a esprimere il suo animo, il suo carattere; della dipendenza del carattere dell’artista dalla situazione storica”. Lo ha fatto con una tale ricchezza di riferimenti (storici, antropologici, ambientali, figurativi) e di simboli (ogni elemento naturale, ogni animale, ogni personaggio, ogni concetto del dialogo ha un valore simbolico) da sfiorare più volte l’ineffabilità del mistero. (Fernaldo Di Giammatteo)
Le proiezioni iniziano alle 20.30 precise, presentano Ugo Brusaporco e Sergio Pescatori, ingresso libero fino a esaurimento dei posti.
Per il quarto anno torna a Verona la Rassegna del Cinema Russo, voluta dall'Associazione Conoscere Eurasia, per raccontare la cultura russa a una città che sempre più si accorge di quanto sia importante economicamente e culturalmente il rapporto con la Grande Madre Russia.
Nella bella sala di Santa Maria in Chiavica, sede del CTG, in via Santa Maria in Chiavica 7, proprio nel cuore antico di Verona da questo lunedì 21 gennaio fino al 25 marzo la Rassegna, curata da Ugo Brusaporco, proverà a raccontare storie vere e leggende della Russia, attraverso il cinema, un'arte che proprio in Russia ha conosciuto la sua più bella poesia.
Thriller, danza, musica, western, favole, storia, tutto si incontra in dieci lunedì, sempre alle ore 20.30, sempre con il commento di Ugo Brusaporco e del professor Sergio Pescatori, che cercheranno di commentare una storia incredibile di attori e autori capaci di essere testimoni e fautori di cento anni di storia fatta da grandi imprese,fin sullo spazio, di guerre e di coscienza politica.
Film d'apertura sarà lunedì 21 gennaio "12" di Nikita Michalkov (2007), un film che vede protagonista una giuria chiamata a condannare quello che non si deve condannare.
Lunedì 28 gennaio si vedrà il kolossal "Mongol" del geniale Sergej Bodrov.
Lunedì 4 febbraio il capolavoro del cinema sovietico "Nuova Babilonia" di Grigorij Kozincev, Leonid Trauberg, un film del 1928 che racconta il bisogno di lottare per il proprio destino.
Lunedì 11 febbraio un omaggio a Verona e al tempo in cui la danza era protagonista a Verona "Romeo e Giulietta", il balletto di Prokofiev con protagonista l'ineguagliabile Galina Ulanova diretta da Lev Anstram e Leonid Lavrovsky.
Lunedì 18 febbraio sarà la volta di un film che dirà alle nostre coscienze: "Ital'janets" (L'ialian) di Andrej Kravčuk un film che parla di adozioni, di bambini che hanno paura di essere adottati.
Lunedì 25 febbraio sempre alle ore 20.30 "Sneguroc'ka" (La fanciulla di neve) di Pavel Kadochnikov, una favola musicata da Tchaicovsky.
Lunedìl 4 marzo si vedrà "Il sole bianco del deserto" di Vladimir Motyl, un film, quasi un western, che nell'URSS dovevano vedere tutti gli astronauti.
Lunedì 11 marzo sarà dedicato a uno straordinario film italo-russo dedicato alla campagna di Russia: "I girasoli" di Vittorio De Sica con la Loren e Mastroianni.
Doppio programma Lunedì 18 marzo con "Sčast'e" (Felicità) di Aleksandr Medvedkin, accompagnato dal vivo da Igino Maggiotto, e “Chaliapin, The Enchanter" documentario di Elisabeth Kapnist sull'indimenticabile basso-attore russo.
La Rassegna si chiuderà Lunedì 25 marzo con il capolavoro "Andrej Rubljov" di Andrej Tarkovskij.
L'ingresso alle proiezioni è libero, ogni serata si chiude con un incontro conviviale.
INFORMAZIONI
Associazione Conoscere Eurasia
Via Achille Forti 10, 37121 Verona
Tel. +39 045 8020904 - Fax +39 045 9299924
e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Internet www.conoscereeurasia.it
SEDE DEGLI INCONTRI:
Santa Maria in Chiavica - Sede CTG
Via Santa Maria in Chiavica, 37121 Verona
“Incontri con la cultura russa: il cinema - 4a edizione 2013”
Ugo Brusaporco, curatore artistico.
Cercando, senza fatica, su You Tube, si incontra la voce di Fjodor Šaljapin che canta con una partecipazione unica “La Marseillaise” e, poche sere fa, mi ritrovavo in una libreria di Verona a leggere i versi senza tempo di Anna Achmàtova: “Tutti siamo ospiti della vita per poco, vivere è solo abitudine”, quanto la cultura russa pervada il mondo grande e quello più intimo è innegabile, almeno da un piccolo popolo qual è quello italiano, alieno alle rivoluzioni e agli intellettuali, visto il vuoto creato dalla morte del suo ultimo aedo Pier Paolo Pasolini.
La cultura russa, ben più di quella americana, nonostante il piano Marshall, Hemingway e Hollywood, appartiene in profondo all’idea stessa, formante, del popolo italiano, non fosse altro perché in italiano parlava la cultura alla corte di Katerina la Grande, e semplice potesse allora essere il convivere di due civiltà mai troppo lontane, una condizionata dal potere dello Zar, l’altra da quello del Papa.
Negli ultimi due secoli letteratura, teatro, musica e cinema si sono coniugati alla Storia per dire di un rapporto unico e insieme produttivo tra due mondi, apparentemente agli antipodi. Proprio nel bicentenario di Giuseppe Verdi, come non ricordare il suo rapporto con gli imperiali teatri russi e la sua “Forza del destino” ben più vera a Mosca che in Italia. Certo, non sono stati sempre rapporti felici, se Dostoevskij e Tolstoj appartengono al nostro sentire di esseri umani, al nostro essere partecipi alla vita, se Čechov ha saputo interpretare la nostra ansia di non essere inutili, se Čajkovskij ha toccato la sensibilità del nostro cuore, i battaglioni italiani, spenti nell’assurda campagna di Russia e decenni di guerra fredda, non hanno certo contribuito alla convivenza dei due popoli, anzi hanno costruito un vuoto incolmabile tra due mondi improvvisamente lontanissimi, e solo l’ideologia ha inutilmente provato a spiegarlo. L’Italia, non è riuscita a cambiare, prima colonialista e poi fascista e, dopo una seconda dura guerra mondiale e civile, democristiana, manteneva intatta le prerogative che erano proprie dell’Italia pre unità, papale o borbonica, nello stesso tempo la Russia non riusciva a restare zarista.
L’Unione Sovietica leninista e bolscevica, se non in alcuni tratti stalinisti, si allontanò decisamente da una Storia secolare per affacciarsi a un mondo di cambiamenti epocali. Proprio il cinema racconta questa lontananza incolmabile, di situazioni e prospettive, in due film paralleli: “Scipione l’Africano” (1937) di Carmine Gallone e il leggendario “Čapaev” di Sergej Vasil’ev e Georgij Vasil’ev, che lo precede di pochi anni, il sovietico è del 1934. Entrambi i film nascono per celebrare un’ideologia, ma quanto stanca già appare quella fascista, incapace di uscire da un già detto sconfitto dalla Storia, mentre ancor vivo oggi è il dettato del ben più moderno eroe bolscevico, fratello nell’ideale a tratti garibaldini e popolari, più che a condizioni pesantemente aristocratiche come quelle dell’eroe romano. Nella grande differenza di prospettiva che offrono i due film sta il complesso rapporto tra i due paesi nel XX secolo.
Quello che abbiamo cercato in questa quarta edizione degli “Incontri con la Cultura Russa: il Cinema” è il filo rosso che collega il cammino del cinema sovietico e russo tra storia e bisogno di parlare al pubblico per indicare, attraverso lo spettacolo, una via di condotta civile e politica.
Così cominciando con uno straordinario remake di un pluripremiato film di Sidney Lumet, “12 Angry Men”, ovvero “12” di Nikita Michalkov, film che riporta il regista russo alla spietatezza del suo dire della società marcia, passiamo allo spensierato, ma non troppo, “Mongol” di Sergej Bodrov, figura fra le più importanti del cinema sovietico durante la perestrojka, prima di affrontare un capolavoro assoluto del cinema mondiale qual’è “Novyj Vavilon” che Grigorij Kozintsev e Leonid Trauberg diressero nel 1928 per ricordare la grande avventura della Comune parigina, una straordinaria storia d’amore e di politica, accusata di formalismo proprio da chi non riusciva a distinguere la poesia dal piegarsi alla politica.
Spazio ci sarà per ritrovare e ammirare Galina Ulanova nel suo essere splendida e inimitabile Giulietta, al fianco di Jurij Zhdanov, impeccabile Romeo, in “L’ultima danza di Romeo e Giulietta” di Lev Anstram e Leonid Lavrovskij, prima di tuffarsi nell’amara realtà di “Ital’janets” (L’italiano) di Andrej Kravčuk, che affronta il problema dei bambini russi addottati, in questo caso da italiani. E ai bambini, anche a quelli cresciuti, si rivolge la fiaba “Sneguročka” (La fanciulla di neve, 1969) di Pavel Kadočnikov, uno dei film più antidisneyani, della storia del Cinema sovietico. Qualche anno prima, nel 1952, sullo stesso tema si era sviluppato un film di animazione dal titolo omonimo diretto da Ivan Ivanov-Vano, con le musiche dell’opera di Nikolaj Rimskij-Korsakov, certamente di impianto ideologico più tradizionale, rispetto al tentativo narrativo di Kadočnikov che usa attori in carne e ossa e vive in una stagione lontana dallo stalinismo. Sarebbe stato interessante poterli mettere a confronto subito, ma i tempi della nostra rassegna sono ben stretti e il confronto lo faremo sicuramente in altra occasione.
Negli stessi anni di questo “Sneguročka”, il cinema sovietico si apre a una propria visione del western e per spiegare questa nuova svolta, che avviene una decina d’anni dopo il successo mondiale degli “spaghetti” western, abbiamo scelto il film caposcuola del genere in URSS: “Beloe Solntse Pustyni” (Il sole bianco del deserto, 1970) di Vladimir Motyl’, un film di genere che pone, però, i confini del racconto là dove i nemici erano i pellerossa e il tempo quello della conquista bianca dell’America del Nord, qui sono gli antibolscevichi che si oppongono alle conquiste della Rivoluzione. L’avventura e l’ironia non mancano, l’esempio che il western sovietico segue è quello italiano, non l’americano. Proprio in quel 1970, Vittorio De Sica dirigeva Sophia Loren e Marcello Mastroianni in uno dei suoi film più intensi e amari “I girasoli”, un film che non incontrò un meritato successo di critica in quegli anni, eravamo dopo il ‘68 ma, soprattutto, dopo l’autunno del ‘69, che aveva segnato in modo indelebile un cambio sociale e civile in Italia, un’Italia che si preparava agli anni di piombo.
La vicenda tutta apparentemente privata narra di un soldato italiano che dopo la campagna di Russia si ferma e si sposa in quella terra, dimenticando la moglie che lo aspetta a casa, e lei, che lo crede morto, si ricostruisce una vita; questo non era solo un film di finzione. “I girasoli” parlavano di vita, di amore che non diventa eterno, di una guerra che non ferisce solo i corpi ma cambia gli animi degli uomini, a un’ Italia ancora impaurita per aver smarrito le sicurezze di una parrocchia, di un ideale cristiano. Rivederlo oggi suona amara profezia di un Paese che ha perso tutto a occhi chiusi.
Avremo poi una lunga serata con due film che ci raccontano il cinema e l’arte, il capolavoro, da poco ritrovato “Sčast’e” (La felicità, 1934) di Aleksandr Medvedkin, considerato, a ragione, il capolavoro comico del cinema sovietico. Un film che raccoglie, insieme alla modernità di uno sperimentalismo cinematografico esplosivo nel suo fiorito rigore linguistico, una recitazione che, vista oggi, ci restituisce il senso dell’attore e del suo recitare dopo la Rivoluzione.
A questo seguirà il documentario di Elisabeth Kapnist “Šaljapin”, the enchanter - Memories of the great russian bass”, un omaggio al grande attore, cantante, personaggio che ha rappresentato e portato da solo il peso della cultura russa in un diffidente mondo occidentale meritando applausi.
La rassegna, quest’anno, si chiuderà con un capolavoro assoluto del cinema mondiale: “Andrej Rubljov” di Andrej Tarkovskij, un film che commuove per il suo essere vivo monumento all’arte tutta e all’umanità. Dal chiasso dei giurati di Michalkov ai silenzi di Rubljov, abbiamo provato a raccogliere immagini ancora in movimento capaci di raccontare non solo un paese, ma un mondo che ci è vicino, che ci affascina con la sua cultura e con il coraggio di raccontare con sincerità le storie dell’Uomo e del suo vivere in questo mondo.