Buon Natale con un piccolo racconto

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Mi ricordo. Mi ricordo bene! L’ho visto, era ieri mattina. L’ho visto, si era fermato. Si era fermato… si era fermato, davanti, nessuno se ne poteva accorgere, davanti a una coppia di innamorati, giovani, liceali, che stavano all’entrata del vecchio teatro di una chiesa, ultimo ricordo di un monastero ora invaso da condomini. Si stavano baciando.

Poi… poi mi ha raccontato che ogni mattina, non nel fine settimana, alle 7.10, passava con l’auto davanti a questa coppia. Era da settembre che facevano parte del suo paesaggio mattutino, dei suoi pensieri, solo una volta era successo, era fine di novembre, che i due non fossero all’appuntamento. Gli chiesi com’erano, ma lui non lo ricordava, come non si ricordano le statue davanti alle chiese o gli alberi lungo il fiume, si ha l’idea che esistano, ma non l’attenzione. Quello che lo colpiva era quella precisione d’amore, che esiste solo tra gli innamorati, quella “normalità” che solo l’amore sa colorare così bene di nuovo.

Passava, e era una questione di pochi secondi, mentre radiouno sciorina le ultime notizie, quelle frivole e quelle più ovvie e banali del calcio. Poi avrebbe cambiato canale, si sarebbe portato su radio montecarlo, dove tra le 7.16 e le 7.18 quasi sicuramente si trova una canzone, un lacerto, visto che alle 7.19 comincia su radiouno il radiogiornale regionale.

Tutti riti, riti mattutini, di un vecchio laico, incapace di restare concentrato sempre su un’idea, solo quei due innamorati interrompevano la rabbia, il dolore, il malato sorriso per notizie barbare, quotidiane come la noia di una città di provincia, che si riempie di luci per Natale, tentando di nascondere il freddo dei cuori che la vivono. Non quelli dei due innamorati.

Ora ricorda: lui è più alto, lei sta sul gradino e ancora non riesce a essere alla sua altezza, così lei alza il viso e lui lo abbassa. Gli ho chiesto perché quella sua attenzione, ma non dovevo, potevo capirlo, su quei scalini fiorivano altri ricordi, ma può un uomo vivere di ricordi? Non mi ha risposto, come al solito stava già lamentandosi sulla servitù dei giornalisti della sede regionale quando annunciano due o tre spettacoli della sera, sono sempre al servizio del botteghino, forse avranno qualche biglietto gratis, lui che organizza solo serate gratuite non aveva niente da offrire.

E il teatro, ho insistito, perché? Nei suoi occhi si è accesa una luce e in quella luce brillavano i volti degli amici lontani o morti, per ognuno di loro aveva un faro puntato nella sua mente e rivedeva Enrico che insegnava la dizione e la cura del gesto a chi mai avrebbe affrontato per mangiare la professione d’attore, e la sua idea era di una purezza inimmaginabile, da far impallidire i mille e mille guitti che si fanno chiamare attori nella esangue scena italiana. Ritrova il dolce volto di Corso e le strane recite insieme a ricordare il Trapassi Pietro e le poesie di Campana Dino.

Sorride a Marco che ruba un ramo enorme per risparmiare sulla scena di uno spettacolo portato in tournee su un’auto che stava in piedi col fil di ferro. Ripensa al dolce pallore di Renza venuta sposa dai teatri di Parigi per incontrare un’altra vita. E ora davanti i due studenti innamorati, e il radiogiornale è finito mentre continua un viaggio che della quotidiana malinconia fa il suo vanto.

Come cambia il paesaggio quando l’uomo gioca a riempirlo di vuoti, e la dove erano sorti nella campagna palazzoni grigi ora è un susseguirsi di cartelli con su scritto “vendesi”, è la crisi, mi sussurra, aggiungendo, ho sempre vissuto nelle crisi, un figlio d’operaio le conta tutte. Non gli credo e lui giù a enumerarle e gli si illuminano gli occhi quando ricorda quella del 1973 e le partite di calcio e i pattinatori sugli stradoni vuoti di auto e futuro, e poi le altre, il Black Monday del 1987, e quella crisi continua dagli anni ’90 a oggi, coperta dalle false illusioni delle veline, di Sharm El Sheik e di San Domingo, e infine, oggi, questa, così… così “inutile” e falsa, crisi di un idea che non vuole morire: quella dei soldi, del denaro che muove il mondo, ma a muovere il mondo sono i sogni, gli ideali e quei due innamorati che si baciano, mentre nel cielo una falce di luna saluta il sole che si alza, in un gelido mattino che aspetta il Natale.

Mi ricordo. Mi ricordo bene! L’ho rivisto anche questa mattina, guardandomi allo specchio. Erano le sei e un quarto, raitre trasmetteva un lied di Mozart “Abendempfindung”, che si potrebbe tradurre “Sensazioni alla sera”, il testo è di Campe, e il soprano canta: “È sera, il sole è scomparso /e splende argentea la luna / così passano le ore più belle della vita/ fuggono via come danzando. / Presto scompare la variopinta scena della vita / e cala il sipario / la nostra parte è finita e la lacrima dell’amico / già scorre sulla nostra tomba”.

C’era stato uno stupido e celebrato film su Mozart, “Amadeus”, ma il regista evidentemente non conosceva quello di cui parlava. Uscendo per strada vedo le luci natalizie sopra la via, più in alto un cielo senza nuvole che si fa chiaro, forse quest’anno a Natale non nevicherà.

(Verona, 23 dicembre 2011)

 

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