Si poteva dire: “Ancora Natale” oppure “Un altro Natale” o… fare come quelli che riciclano gli alberi e gli addobbi di ogni Natale o che vanno a messa la notte di Natale e poi basta. Potevamo ribattere quello che avevamo scritto negli anni scorsi, perché tanto cosa cambia nel Natale a cui ci hanno ormai abituato. Abbiamo chiamato tradizione quello che la pubblicità ha inventato e ci sono i regali e le famiglie che si incontrano e i lavoretti di scuola e le poesie e quel giorno siamo tutti più buoni…
E Gesù nella mangiatoia del presepe e tutti quei personaggi intorno felici, come le palline sull’albero di Natale. E Gesù invece non aveva gente felice intorno, tutti avevano voltato le spalle ai suoi genitori e se era nato in una stalla era perché non gli avevano dato una camera, non era casa sua il paese in cui era arrivato, non era casa dei suoi genitori. Erano soli i suoi genitori. Erano soli, e Giuseppe aveva paura per Maria e il figlio che doveva nascere e Maria era giovane.
Noi che alziamo il riscaldamento quando fa più freddo facciamo fatica a capire quello che successe quella notte che non era solo fredda, era fredda per un papà, una mamma, un bambino. Anche senza chiamarsi Gesù, ci sono troppi bambini che ogni giorno e ogni notte nascono nel dolore dei genitori che non hanno un riparo da offrire, genitori che come quelli di Gesù hanno paura per il loro piccolo appena nato.
E Gesù è con loro, non solo a Natale, ma a ogni Natale che è quando nasce un bambino. Un Natale lungo, eterno, nato con l’uomo e la donna, nato anche con il dolore, con la fatica, con la voglia di creare un futuro. E questo non è il Natale del supermercato, delle bancarelle, delle vetrine colorate e dei pacchi regalo, è il Natale del pensiero, della dolcezza per un bimbo che nasce, che nasce ogni volta perché ama la vita.
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Ugo Brusaporco
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